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Ospiti della Nazione
Il libro

Il 21 Gennaio 1919, l'IRA dava inizio alla Guerra d'Indipendenza Irlandese (1919-1921), una sanguinosa e sfiancante lotta contro la polizia e l'esercito britannici, mentre il nuovo Stato irlandese si organizzava clandestinamente. Due erano i fronti, due le strategie: la guerriglia urbana condotta a Dublino da Michael Collins e dai suoi e una serie di operazioni di guerriglia rurale ad opera delle “colonne volanti” dell'IRA. Le truppe britanniche e i famigerati Black and Tans (arruolati in Gran Bretagna per sostituire i poliziotti irlandesi dimissionari) reagivano con brutali rappresaglie ai danni dei civili irlandesi e delle loro proprietà, definite dal Governo inglese «punizioni ufficiali». Nel nord intanto gli Unionisti filo-inglesi scatenavano operazioni di “pulizia etnica" contro i cattolici, considerati tutti sostenitori dei Repubblicani. Anno dopo anno però per l'opinione pubblica inglese la guerriglia in Irlanda e le atrocità della repressione britannica divennero sempre meno sostenibili. Il Governo britannico propose quindi un cessate il fuoco al Governo clandestino irlandese, che entrò in vigore l'11 luglio 1921 aprendo una fase del tutto nuova del conflitto, basata sulla diplomazia. I dirigenti della lotta nazionale irlandese però si dimostrarono pessimi negoziatori: sotto la minaccia da parte di Londra di una guerra totale, gli irlandesi accettarono di firmare un Trattato che divise l'Irlanda e che provocò la guerra civile del 1922-23.
Ecco lo sfondo suggestivo delle storie di Frank O’Connor, egli stesso membro dell’Irish Republican Army (IRA) e quindi testimone in prima persona di aneddoti drammatici, grotteschi, commoventi, proprio come le storie della Guerra Irlandese che ci racconta. Malgrado la sua militanza politica vissuta sulla pelle, O’Connor spesso e volentieri dalle pagine di questa bella antologia lancia forte e chiaro il messaggio che la guerra, qualunque ne sia la causa, è un’eclissi dell’intelligenza, della moralità. Emblematico in tal senso il racconto che dà il titolo all’antologia, Ospiti della nazione: lì inglesi e irlandesi fraternizzano, annacquano le tensioni in una umanità spicciola, semplice. Giocano a carte insieme, scherzano, si abbracciano. Dov’è la guerra se l’uomo torna a essere uomo? Sembra chiederci O’Connor. I suoi personaggi non sono mai eroi (e anzi l’autore sembra diffidare dei gesti eroici e delle esaltazioni), sono persone “normali” che cercano di inceppare (spesse volte non riuscendoci) un ingranaggio che sta schiacciandoli senza pietà.
Con uno stile inaspettatamente moderno venato frequentemente di ironia e di un humour grottesco, l’autore ci racconta le piccole grandi storie di tanti irlandesi pieni di passione politica, di amore per la loro terra e per la libertà che però scoprono ben presto quanto il carnaio della guerra faccia sembrare ogni idea lontana, pallida, forse inutile.
In appendice, un dotto saggio del curatore Carmine Mezzacappa ripercorre la carriera e la vita del grande scrittore irlandese e più in generale fa una panoramica preziosa della letteratura irlandese, spesso sottovalutata e ingiustamente lontana dai grandi palcoscenici europei. [David Frati, Mangialibri]

Tradurre Frank O’Connor di Carmine Mezzacappa
Frank O'Connor (pseudonimo di Michael Francis O'Donovan) nasce in una famiglia poverissima il 17 settembre 1903 a Cork, città guida insieme a Dublino nella rivoluzione irlandese contro l'occupazione inglese e successivamente importante centro dell'IRA nella guerra civile.
Traduttore dal gaelico, saggista e critico letterario, commentatore politico mai incline ad analisi accomodanti, intellettuale intransigente e osservatore acuto dei costumi sociali, è stato uno dei più grandi autori di racconti di tutto il Novecento europeo e figura carismatica della letteratura irlandese. Fedele per tutta la vita - nonostante le critiche e il boicottaggio riservatigli da una intelligentsia bigotta e conformista - alla propria immagine di “champion of the moral life”, nelle sue corrosive campagne contro la stagnazione morale e culturale dell'Irlanda della prima metà del Novecento esprimerà senza mezzi termini la sua amarezza per le conseguenze del fallimento degli ideali repubblicani post-1922/23 e farà sentire la sua voce fuori del coro nella dura battaglia contro l'ottusa censura operante fin dall'inizio del giovane Stato irlandese.
Il ritratto che Robert Frost, il poeta americano, fece di lui è perfetto: “Le sue polemiche con il mondo intero erano quelle di un uomo che del mondo era profondamente innamorato".
L'Irlanda lo emarginerà (costringendolo a trasferirsi prima a Londra e poi negli Stati Uniti) e gli tributerà finalmente stima per il suo lavoro di scrittore e intellettuale solo quando, ormai gravemente malato, O'Connor tornerà a Dublino dopo avere ricevuto grandi riconoscimenti dalle università americane (e persino l'ammirazione pubblica di John F. Kennedy) per il suo impegno nella diffusione della cultura irlandese all'estero. La morte prematura lo coglie a Dublino il 10 marzo 1966 privando l'Irlanda del suo contributo di scrittore e intellettuale all'alba della lunga sequenza di tragici episodi di violenza nell'Ulster.

Secondo O'Connor, la funzione di un racconto sta nel cogliere il momento in cui un individuo, coinvolto in eventi significativi in un momento particolare della sua esistenza, deve modificare le sue convinzioni e capisce che niente potrà tornare a essere come prima. Nei suoi racconti si avverte un grande attaccamento alla vita nonostante i suoi personaggi subiscano dolorose sconfitte a causa di delusioni affettive, politiche e morali e non riescano a lasciare un segno della loro presenza. Non per questo, però, essi devono essere ignorati e dimenticati: O'Connor aveva il raro dono di sapere ascoltare le voci delle persone, sapeva immedesimarsi nei loro piccoli e grandi drammi sforzandosi di comprenderle anche se erano lontane dal suo modo di vedere e sentire. In lui, in sostanza, la sensibilità dell'uomo coabita felicemente con la sensibilità dello scrittore.
O'Connor racconta in modo viscerale, come se entrasse lui stesso nella narrazione lasciandosi contagiare dagli stati d'animo dei personaggi. A differenza del suo grande amico/nemico Sean O'Faolain, la cui tecnica narrativa mirava a studiare razionalmente i meccanismi della mente che determinavano scelte e comportamenti, O'Connor registra pensieri e umori naturalisticamente da "dentro" il racconto. I critici e i recensori, dopo la sua morte, faranno cadere un deprecabile silenzio sulla sua opera, forse per il suo rifiuto di cercare formule narrative alla moda o forse per le sue polemiche con loro, soprattutto quando attaccava Joyce che aveva abbandonato le descrizioni naturalistiche della vita come veniva veramente vissuta dalla gente comune. (Del resto, nemmeno lo studioso Richard Fallis fu tenero quando, ironicamente, definì Finnegans Wake "il più grande capolavoro non letto della letteratura del ventesimo secolo" per esprimere il suo dubbio sul reale coinvolgimento di Joyce nella creazione di una tradizione letteraria irlandese contemporanea a cui, invece, O‘Connor contribuì più di chiunque altro.)
Frank O'Connor aveva il pregio intellettuale e umano di coltivare il metodo del dubbio. Lo coltivò rigorosamente e coerentemente non solo nei racconti di preti, bambini, donne, anziani, ma anche in quelli della guerra civile.
In accese discussioni con i compagni di prigionia, dichiarò apertamente il suo rifiuto di glorificare il sacrificio dei caduti nella guerra civile in nome di un ideale politico. La sua famosissima provocazione - "Meglio vivere, leggere, visitare luoghi d‘arte. Sono certo che tutti i nostri martiri morti per la causa non avevano nessuna voglia di morire." – non fu ovviamente compresa e attirò il risentimento di molti suonando come una vera e propria bestemmia.
Nei suoi racconti sulla guerra civile si coglie una coraggiosa autocritica secondo cui anche le cause giuste (cfr. il racconto “Ospiti della Nazione”) contengono il male incurabile della mistificazione e del tradimento dei loro principi quando ricorrono allo strumento dell'azione militare. I personaggi, per quanto nobili siano i loro ideali, non vengono descritti come eroi perché O'Connor è consapevole che essi agiscono sulla spinta emotiva, non quella razionale. Anzi, a volte li presenta come individui fragili o nevrotici o addirittura vanesi (cfr. i racconti “Alba settembrina” o “Soirée Chez Une Belle Fille”).
Il suo disincanto, tuttavia, non mira affatto a sminuire il valore politico dell'obiettivo perseguito dagli uomini dell'IRA, ossia l'unificazione completa dell'Irlanda. O'Connor, semplicemente, non sente la necessità di inventare eroi positivi per sostenere la causa repubblicana. Ammirevole il suo coraggio di rifiutare l'ineluttabilità dell'uso della violenza in nome di un nobile obiettivo: lo fa unilateralmente senza ricorrere al bilancino per misurare le atrocità compiute dai suoi compagni dell'IRA e dai sostenitori del Free State (per non citare i famigerati Black and Tans, durante il conflitto anglo-irlandese). Ciò che conta – al di là del contributo degli individui - è la validità dell'ideale repubblicano rispetto a quello del Free State di Michael Collins, responsabile di avere firmato il Trattato che lasciava le sei contee dell'Ulster sotto il controllo del governo inglese. Il commento dei repubblicani si sintetizzò efficacemente nella frase "A Terrible Beauty Is Born" (una terribile bellezza è nata, la nascita delle due Irlanda).
Concentrarsi sulla creazione di figure eroiche – per esempio, la sublimazione della sofferenza provata da Collins nel firmare la separazione delle due Irlanda – significa, secondo O'Connor avvolgere la Storia nella nebbia fuorviante della mitizzazione di uomini e fatti; significa darla vinta all'astuta tattica inglese del “divide et impera” e rinunciare a credere che i cattolici e i protestanti d'Irlanda avrebbero potuto (e potrebbero) imparare a trovare un sistema di convivenza pacifica.

Il compito del traduttore è di attualizzare e contestualizzare nella realtà italiana messaggi importanti che provengono dalla narrativa straniera. Questa è la linea di ricerca (con un occhio di riguardo alle letterature scozzese e irlandese) che un editore come Tranchida persegue con sensibilità invece di mirare a successi editoriali estemporanei e fini a se stessi.
Perché, dunque, proporre Ospiti della Nazione al lettore italiano? Perché la lezione di O'Connor sarebbe utile, oggi, anche in un contesto italiano (si pensi ai tentativi di riscrivere la Resistenza). O'Connor ha operato una “de-eroicizzazione” e “de-glorificazione” dell'epopea rivoluzionaria irlandese (in sintonia con Brecht secondo il quale "sventurato è quel Paese che ha bisogno di eroi") allo scopo di evitare sia l'errore di consegnare gli insegnamenti di un patrimonio storico soltanto a una parte del Paese escludendo i cosiddetti "sconfitti" sia il rischio di revisionismi da parte di questi ultimi attraverso il trasferimento degli eroi nella categoria dei criminali e viceversa e attraverso le rivendicazioni di "innocenza" e "ingenuità" al momento decisivo delle scelte fatte dalle parti contrapposte. O'Connor sostiene con fermezza che nella Storia i punti fermi sono rappresentati dalle idee, dagli ideali e dai valori sociali che nascono dalle macerie di una guerra.
Frank O'Connor chiese di essere sepolto al confine tra le due Irlanda e volle che su una corona di fiori apparissero le parole "Non ci arrendiamo" come monito che il suo sogno di un'Irlanda unita, se non politicamente almeno nel riconoscimento reciproco delle rispettive identità cattolica e protestante, avrebbe continuato a vivere.
Non possiamo non domandarci che cosa avrebbe potuto dire questo grande scrittore e intellettuale dell'evoluzione dell'IRA e delle tensioni nell'Irlanda del Nord a partire dai tardi anni Sessanta. L'unica risposta che riusciamo a dare è che si sente la mancanza del suo pensiero su questo doloroso capitolo della storia irlandese (ed europea). La sua voce, coerente, rispettosa degli insegnamenti della Storia, pronta a prendere posizioni chiare, sicuramente avrebbe lasciato un messaggio che avrebbe aiutato a esaminare la questione nord-irlandese con lucidità ed equidistanza in una corretta prospettiva storica.
Frank O’Connor
Frank O’Connor
Ospiti della Nazione
A cura di Carmine Mezzacappa
2010, BT 42, 200x135
pagine 389
euro 14,00
Isbn 978-88-8003-346-2

Frank O'Connor (Cork, 1903 - Dublino, 1966) è stato uno dei più grandi autori di racconti di tutto il Novecento europeo e figura carismatica della letteratura irlandese. Il ritratto che Robert Frost fece di Frank O’Connor è perfetto: «Le sue polemiche con il mondo intero erano quelle di un uomo che del mondo era profondamente innamorato.»
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